San Giuliano

San Giuliano Patrono di pollina

 


 

Chi era San Giuliano?

(Autore Henri Platelle)

 

Il più antico racconto della sua vita, le “Gesta Domini Juliani”, si trova nella celebre opera intitolata “Actus pontificum Cenomannis in urbe degentium”. Ora, questi Actus, composti senza dubbio tra 1'840 e 1'857, sono opera di un falsario privo di scrupoli, unicamente preoccupato di difendere i diritti e i possedimenti della chiesa di Le Mans all'epoca in cui scriveva, ragione per cui la sua biografia è completamente falsa.

Secondo questa fonte, Giuliano, dopo aver fatto parte dei settanta discepoli degli Apostoli, sarebbe stato ordinato vescovo da s. Clemente di Roma e inviato in Gallia. Arrivato alle porte della città di Le Mans, fece zampillare miracolosamente una fontana. Gli abitanti si convertirono in folla, e specialmente il princeps civitatis, chiamato defensor, che fece a Giuliano innumerevoli donazioni accuratamente enumerate nel sopra-citato scritto. Il vescovo, dopo sette anni, andò in pellegrinaggio a Roma, donde tornò carico di reliquie. Queste reliquie produssero dei miracoli, i quali a loro volta provocarono delle conversioni. Giuliano creò anche novanta parrocchie rurali e ciò gli fu facile perché in ventisette ordinazioni consacrò centosettantasei preti, ventidue diaconi e altrettanti suddiaconi. Infine dopo un episcopato di quarantasette anni morì un 28 gennaio.

Nulla di tutto ciò può essere ritenuto attendibile. Bisogna infatti ricordare che le pretese delle Chiese all'apostolicità, ad avere cioè un fondatore che si riallacci direttamente ai tempi apostolici, sono un fatto dei secoli VIII e IX, che trova spiegazione senza dubbio nella vanità locale, ma nello stesso tempo, nel prestigio grandissimo, di cui godeva allora la Chiesa di Roma.

Per sapere allora qualche cosa di Giuliano bisogna interpellare le fonti indirette. Si sa dal testamento di s. Bertrando, vescovo di Le Mans (616), che esisteva in quell'epoca una chiesa suburbana dedicata a s. Giuliano vescovo. Nell'anno 832, una carta imperiale ci informa che detto edificio esisteva ancora e che era servito da un piccolo monastero (monasteriolum). Questa chiesa ha potuto essere identificata; essa si trova sull'area della chiesa di Le Pré che, prima della Rivoluzione, possedeva una piccola cripta in forma di confessione da attribuire senza dubbio, alla fine del secolo IV o all'inizio del V; questo è l'indizio che induce a collocare Giuliano nel IV secolo. Anche la tradizione, che fa di lui il primo vescovo di Le Mans e che gli attribuisce la fondazione della cattedrale, può essere accettata.

Notiamo, tuttavia, che il culto di questo santo si sviluppò solo tardivamente. Il testamento di Bertrando (616) è poco generoso verso la sua Chiesa; mentre quello di Aduino, altro vescovo di Le Mans, morto verso il 653, non vi fa il minimo accenno. Gregorio di Tours (544-95), nella sua zelante opera di raccolta dei miracoli relativi ai santi della Gallia, non cita mai Giuliano, vescovo di Le Mans. Le cose cambiarono allorché nacque la surriferita leggenda della missione apostolica di Giuliano Fra l'841 e l'850 il suo corpo fu trasportato dalla chiesa di Le Pré nella cattedrale, il culto assunse proporzioni sempre più intense, finché nel secolo XI, s. Giuliano era ormai giunto alla notorietà.

La festa è fissata al 27 gennaio. La cattedrale di Le Mans, dopo aver portato il nome di Nostra Signora, poi dei SS. Gervasio e Protasio, è attualmente intitolata a s. Giuliano, il cui culto prese grande sviluppo in Inghilterra, per opera dei Normanni.

 


 

La Festa di San Giuliano a Pollina

(Racconto di Giulio Bonafede del 1982)

 

E' un gran santo, San Giuliano, nella estimazione popolare, un santo “miracoloso”, venerato con sincerità, talora con fanatismo, da piccoli, da grandi, da uomini, da donne. La sua festa, nei tre giorni che gli vengono consacrati nel mese di maggio (la data è stata spostata ora per esigenze turistiche, ma la mia memoria si volge al passato, ed i ricordi sono legati al mese indicato, quello tradizionale), è proprio una festa solenne, non solo perché annuale, nel significato classico della parola, ma perché è proprio una gran festa, per tutti quanti, anche per abitanti di paesi vicini, in quanto spesso vengono per assistervi presso parenti e amici. E poi, a parte l'attrattiva turistica, anteriore al diffondersi dell'attuale turismo, vale la pena guardare un po' da vicino questi orgogliosi pollinesi.

Si comincia con invitare una musica forestiera, ad esempio la musica di Caronia. Fa sempre un bell'effetto la musica forestiera perché, si sa, le cose che vengono da lontano hanno una particolare attrattiva. E poi pare che abbia un suo prestigio. I preparativi fervono. Si può dire che si pensa alla festa quasi tutto l'anno, con le richieste agli emigrati, perché mandino la loro offerta generosa per la festa del patrono che è rimasto anche il loro patrono, per lontani che possono essere, nell'America del Nord, nell'America del Sud, dove gli emigrati sono numerosi, il dialetto è rimasto lo loro lingua abituale, e le feste del paese di origine sembra che siano state mantenute, nei limiti del possibile. Proprio come facevano gli antichi colonizzatori, venuti in Sicilia dalla madre Grecia, per costruirvi una patri anche piè grande, la Magna Grecia, ricca di tradizioni antiche e recenti, di potenza, di ricchezza, di autentica civiltà.

La popolazione è tutta vestita a festa, specie la gioventù maschile e femminile. La maschile, si sa, per nativa fierezza, per vigoria fisica, perché la gioventù ha una vitalità prepotente. La piazza, la Pietrarosa, le strade tutte quante sono un viavai di gente. Ma anche la gioventù femminile non è da meno; direi che maggiormente coglie l'occasione per manifestarsi, per mettersi in mostra, ma attenzione, non si tratta di roba da museo, dico per farsi vedere fuori casa senza pericolo alcuno di maldicenze. Gioventù attraente, ben vestita, anche se ha addosso vestiti semplici, di poca spesa, perché è la donna che fa il vestito, non è il vestito che fa la donna, per lo meno la donna che ha un sentimento, una dignità, una particolare bellezza, che suscita simpatia. Atteggiamento mai sfrontato, sempre fiero nella sua modestia, occhi ardenti,ma cauti, sorriso velato, ma pronto a manifestare l'intima gioia se si ha la fortuna di incontrare un certo sguardo, sia pure furtivamente, perché non è decoroso fare la sfacciata.

Si esce con le compagne, con le amiche, quelle stesse amiche con le quali si va a prendere l'acqua al “canale”, alla “rivetta”, con le brocche, con la latta del petrolio ripulita ben bene, con grosse pentole, il tutto portato con tanta dignità, compostezza, in testa; quelle compagne con le quali spesso si va in campagna, con le quali si fa un tratto di strada assieme, in attesa che ciascuna pervenga al viottolo che porta nella propria campagna, simbolo delle vie diverse che ognuna di loro percorrerà nella propria vita, secondo il destino. Perché, religione a parte, si sa, i decreti della provvidenza sono a noi nascosti; l'uomo propone, ma Dio dispone, e queste disposizioni divine si presentano a noi con forza ineluttabile.

Si china la fronte, anche se non si accetta passivamente la nuova situazione, poniamo un matrimonio presso a poco imposto, oppure un matrimonio cominciato bene, che sembrava cementato da affetto profondo, tanto più profondo quanto più era stato represso questo sentimento, in attesa che liberamente potesse esplodere col matrimonio, matrimonio poi fallito, chi sa perché. E' stato proprio il destino a volerlo! E la donna, vedova pur con il marito vivente, nel silenzio della mente sua, del cuore suo, silenzio esteriore, ma quanto viva la parola interiore, quella parola che si pensa e non si dice; quanto ancora ardente il sentimento per l'uomo che è assente anche quando fisicamente è presente; la donna, dico, ripensa ai tempi lontani quando con le compagne di lavoro, di gioia, scambievolmente si scambiavano gioie, speranze, delusioni, dolori profondi, che non è possibile, ci si rifiuta manifestare a persone estranee, perché l'animo pudico si oppone, perché vale la pena ricordarsi che l'onore, la dignità, sono dei valori imperituri.

I ragazzi, alla loro volta, sono del parere, hanno la certezza che la festa è cosa tutta per loro. La attendono con ansia, contano i giorni, le ore. Finalmente spunta l'alba del giorno atteso: oggi è la festa di San Giuliano! Chi sa perché, chi sa che cosa si aggira nelle loro menti, che pensieri, che desideri. Vedere gente,facce nuove? Comprare qualche giocattolo con i pochi spiccioli che possono avere in tasca? Divertirsi, correre tutta la giornata senza controllo con gli altri compagni? Ci sarà tutto questo, ed altro ancora. Ma forse il vero motivo è più semplice. Si tratta di godere per il piacere di godere, espandere la propria vita per il piacere stesso che questa espansione dà. Mondo fanciullo sempre nuovo per l'adulto che se lo è lasciato dietro le spalle, costretto a non tenere conto, tante sono state le difficoltà della vita, le preoccupazioni, i dolori. Il lavoro fa diventare grandi quando si è ancora piccoli!

Mistero della vita dell'infanzia, un mistero non meno grande del mistero della psicologia della donna, qualunque sia la sua età, mistero, a titolo diverso, quasi sempre impenetrabile all'uomo, e non soltanto perché troppo affaticato, costretto, direi, a guardare sempre al di fuori di sé per gli impegni della vita, impossibilitato a concentrarsi in sé, nel suo mondo interiore. E nei giorni di festa, forse per un ritorno fuggevole alla propria infanzia, l'adulto concede liberamente tutta la libertà che vuole alla infanzia. Ad ogni giorno basta il suo affanno!

Addobbate le chiese, quella di San Giuliano, quella della “Matrice”, addobbate con spesa anche notevole, perché si deve chiamare gente esperta da fuori, bisognando arazzi, tendoni, profusione di colori sugli altari, sulle colonne, dovunque si trovi un posto che possa rallegrare l'occhio con gli ornamenti. La bara è pesante, ma non importa; i portatori sono abituati,fanno gara a portare sulle loro spalle un peso considerevole per le strade, le straduzze, ogni “vanedda”, perché quando il santo esce va proprio a bussare porta per porta a raccogliere le offerte. Chi potrebbe sottrarsi a negargliela proprio in faccia? Perché si tratta proprio di questo: i fedeli si vengono a trovare faccia a faccia col santo protettore, dal viso imponente, a parte la magra figura che si farebbe a non essere generosi. Generosi secondo le proprie necessità, le proprie possibilità, questo va da sé, e il nostro santo conosce bene chi può e chi non può, tanto ogni angolo del paese è a lui noto, e conosce ogni famiglia,quelle di oggi, quelle di ieri, tutti quanti ha fissato nella sua memoria.

Caratteristica questa singolare questua di porta in porta,con la musica che precede, col santo che ondeggia sulle spalle dei portatori, sotto la bara, lungo le travi che lo sostengono e rendono più facile il compito dei portatori suddividendo il peso. I più anziani, più esperti, sembrano servirsi delle estremità di queste travi come di timoni, per meglio orientare la direzione del trasporto, raccogliendo in unità prodigiosa le molteplici forze dei portatori. Nel momento stesso che così si va di via in via, di porta in porta, si ode il grido dei portatori che invocano la grazia di San Giuliano, e dietro un nuvolo di gente, alla rinfusa, come le strade consentono. Perché c'è anche questo singolare fatto, quasi una specie di contratto tra fedele e santo. Il santo bussa, il fedele dà, ma talora il bussare del santo è impresa malagevole, tanto difficile è il passaggio, così stretta è la viuzza. Ma il fedele è lì, davanti la sua porta con la sua offerta, e il santo, possibile o impossibile per i portatori, deve andare a prenderla proprio davanti l'uscio.

E gira dovunque , su è giù per le stradette, in vista delle montagne, in vista del mare, da turista infaticabile. Tanto è il santo di tutti. Questo contatto annuale sembra rinforzare i legami. Talora si tratta di una offerta particolare, quasi ricompensa di una grande grazia ricevuta. Non si tratta di un dare per ricevere, non si paga propriamente un debito, non lo consentirebbe l'orgoglio del fedele che è appunto un pollinese. Il favore,anche nella vita ordinaria, lo si fa senza attendere la ricompensa. Così richiede l'onore, la dignità delle persone. Ma fa parte dello stesso onore, della stessa dignità della persona non essere ingrati, riconoscere i propri torti come i propri meriti. E' stato beneficato il fedele. Lo sanno tutti perché la grazia non ha nascosto l'opera meravigliosa; poco importa se non tutti sanno in che cosa propriamente consiste questa grazia. Ma al dono pubblico è giusto risponda il riconoscimento pubblico della gratitudine.

Caratteristica la processione “o chianu di San Franciscu”, dove si trova una antica chiesa, quasi del tutto scomparsa. Una processione bellissima, variopinta, che si snoda prima in una antica trazzera, poi in aperta campagna, sempre con lo stesso itinerario. Ecco, il campo è recintato da un vecchio muro; si abbatte un tratto del muro, tanto quanto è sufficiente perché i portatori trasportino il santo al di là del muro, quindi si procede lungo un tratto di terreno da secoli battuto, si abbatte un altro tratto del muro, si previene al centro della spianata adibita ad aia pubblica. Abbiamo la benedizione della campagna, perché siamo nel mese di maggio e il mese di maggio è proprio il mese decisivo per i raccolti.

E poi i portatori fanno un'altra strada, quella che porta nella parte alta del paese, dove si trova la cattedrale. La bara si inerpica per la stradicciola piuttosto malagevole, ed hanno un gran da fare “i puntaroli”, cioè i nostri timonieri, tanto pesante è la bara, faticosa la salita. Ma la scena è suggestiva. Questo aspetto della collina a me è sembrato ,da tempo, una prora di nave grande lanciata nello spazio. Nella sua parte centrale si inerpica (propriamente si inerpicava) la strada, e questa strada è tutta una fiorita teoria di gente dai vestiti multicolori,che si snoda quasi maestosamente lungo il tortuoso itinerario, finché non si entra in paese attraverso porta San Antonio, una antica porta di cui ben conservati sono le mura, l'arco, una delle tante che questo singolare paese aveva: porta Castello, porta San Pietro, porta “grande”, l'ultima è più recente, resasi necessaria per l'ampliarsi del paese oltre le antiche mura.

In alto, poi, tutto domina l'antica torre, circondata da antiche mura con tanto di feritoie oggi rimesse in luce,che danno un aspetto suggestivo ad un teatrino bellissimo, fatto costruire ricavandolo con gusto dalle rocce di cui la zona era coperta, teatrino che ha un panorama singolare. Non si vede il mare, secondo l'usanza antica dei teatri greci, ma si vede tanta parte dell'arco delle Madonie, il suo massiccio centrale. E con un cielo stellato, bellissimo in ogni stagione dell'anno, penso che ogni rappresentazione sia già un successo parzialmente assicurato dalla bellezza di tutto il paesaggio armonicamente concorde nelle sue varie componenti.

Suggestiva la festa di giorno, ma anche la notte offre il suo spettacolo. La chiesa madre è tutta “na candelora”, tante sono le candele accese sull'altare maggiore, nei vari altari, nelle “ninfe” che scendono dal tetto.

E che dire dei giochi di artificio? E' usanza antica. Si preparavano localmente, ma erano soliti giocare dei brutti scherzi o per il caldo estivo, o per qualche imprudenza. Come minimo saltava in aria, vicino piano San Francesco, la casetta di colui che lavorava per preparare “u iocu di focu”. Mortaretti di ogni tipo, girandole multicolori, a parte quei mortaretti che si facevano scoppiare quando il santo andava a San Francesco. La festa sembrava concludersi magnificamente proprio con questi giochi. Spettacolare il gioco, tutta la festa ne guadagnava, come se questo gioco ne costituisse il sigillo.

E' proprio riuscita bene la festa, che spettacolo, anzi quanti spettacoli! Quei muli, quei cavalli bardati, carichi di farina, dove mai si possono vedere? E che sfoggio di costumi di velluto antico da parte di coloro che li guidano! Non c'è bisogno che il predicatore, spesso venuto da altro paese anche lui, tessa le lodi del gran santo, ne enumeri gli antichi miracoli, e sudi a non finire con quel caldo che rende quasi irrespirabile l'aria nella chiesa, certamente ampia, ma non tanto quanto occorrerebbe per la folla che la riempe fino all'inverosimile. Non c'è bisogno della sua parola roca perché la gente, forestiera e paesana, si convince che San Giuliano è proprio un gran santo. Basta vedere questa festa, raramente turbata da qualche spirito turbolento, per argomentare che San Giuliano è proprio un gran santo. La festa è proprio tutta merito suo, perché ha dato forza ai portatori, sono state le novene a lui dedicate a preparare lo spirito dei fedeli. La concordia dei cittadini lo attesta.

 


 

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